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04/05/2015

Stephanie Gengotti

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Reportage
04/05/2015

Stephanie Gengotti

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Mi chiamo Stephanie Gengotti, nasco a Roma nel ’72, da madre francese e padre italiano. Imparo a scoprire il mondo sin dall’infanzia viaggiando con i miei genitori, entrambi assistenti di volo. A 7 anni mio padre mi mostra una strada di Bombay dove i bambini erano costretti a prostituirsi. Quell’immagine è rimasta cosi impressa nei miei ricordi che ha poi influenzato molte delle mie scelte di vita.
Dopo la laurea come interprete mi diplomo in fotogiornalismo alla Scuola Romana di Fotografia, dove seguo anche un master di moda e ritratto.
Il mio lavoro fotografico si divide tra collaborazioni con testate italiane ed estere e progetti personali a lungo termine. I miei lavori sono stati esposti in gallerie e festival italiani ed internazionali.
In Francia sono rappresentata dall’Agence Myop.

Quando hai iniziato a fotografare e perchè?

La fotografia è entrata a far parte della mia vita relativamente tardi, quando durante un viaggio in Sud Africa mi sono ritrovata a scattare un’immagine che ha cambiato profondamente il modo in cui guardavo la realtà e la mia ricerca personale. Come in una sorta di trance, avevo finalmente capito in quale direzione andare. Da quel momento non mi sono più separata dalla macchina fotografica.

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Il tuo / i tuoi generi fotografici?

I due generi in cui mi riconosco sono storytelling e ritratto. Mi piacciono le persone e le loro storie. Vivo la fotografia quasi come un mezzo terapeutico, di condivisione e di apertura totale, un modo a volte per portare alla luce gli aspetti irrisolti della coscienza del soggetto e dell’artista. Vivo una sorta di fusione con le persone che fotografo. La necessità di instaurare un rapporto empatico e diretto, mi porta a condividere la quotidianità dei protagonisti delle mie storie. Lo scatto fotografico diventa quindi solo l’ultimo atto di un lungo percorso di conoscenza.

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La tua giornata tipo?

Ce ne vorrebbero 2 per per portare a termine tutto ciò che mi prefiggo di fare! La mia vita si divide tra mio figlio Elias di 1 anno e mezzo e il lavoro editoriale. Scrivo mail, invio proposte alle riviste, lavoro le foto, trovo nuovi contatti, cerco idee e ispirazione, mi concentro sui miei progetti personali. Però c’è anche una parte frivola, mi piace uscire, incontrare persone, chiacchierare e ballare, adoro andare ai concerti, lo yoga e il mare!

Puoi raccontarci la fotografia più importante della tua carriera o quella a cui tieni di più?

Non c’è un’immagine in particolare, sono molto legata però al mio primo reportage per il quale, senza avere nessuna coscienza fotografica, in totale libertà, ho deciso di trascorrere un anno in una comunità Rom. Quella per me è stata una vera scuola, mi ha insegnato ad entrare in contatto con realtà delicate, facendomi accettare nel loro mondo, diventando ‘una di loro’ per avere accesso, senza pregiudizi, ad una cultura così tanto fraintesa dalla cronaca.

Cosa c’è dentro la tua borsa fotografica?

Dipende dal tipo di lavoro che devo svolgere, se si tratta di un ritratto in studio porto i miei due flash Bowens con bank, stativi, esposimetro, cavo sincro etc. Altrimenti viaggio leggera con un 24-70mm, un 85mm, una Nikon D4, qualche scheda e un pannello.

Cosa pensi di aggiungere  a breve nella borsa e cosa invece pensi di dare via?

Negli anni ho investito molto in attrezzatura, penso di avere tutto quello che mi serve. Magari potrei liberarmi di qualche corpo macchina digitale di vecchia generazione.

Il sito di fotografia che visiti più spesso?

Guardo spesso i siti delle agenzie internazionali, ultimamente mi trovo a sfogliare le pagine di LensCulture, dove scopro lavori di grande originalità.

Grazie Stephanie!

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